[…] Ma il suo solitario cammino di out-sider è certo quello di uno dei più importanti artisti italiani del Novecento, come del resto è stato ampiamente riconosciuto dai migliori critici (Brandi, Venturi, Trombadori, piuttosto che Valsecchi, Virgilio Guzzi o Lorenza Trucchi…). Un artista rimasto sempre fondamentalmente coerente nel cammino della propria ricerca espressiva, nella quale perde senso la distinzione – così radicata e scontata nella cultura visiva occidentale – tra figurazione e astrazione, e si delinea una soglia tra l’”invisibile”dell’interiorità e la realtà oggettiva della percezione. Qui, nella pittura di Stradone, il luogo è orizzonte e lo spazio è attesa di entrare nell’irrappresentabile. “La poesia – annotava il grande poeta romantico Novalis – rappresenta l’irrappresentabile, vede l’invisibile, ode il non udibile” (Frammento 1208). Così, nell’artista romano (ma nolano di nascita, come Giordano Bruno, e come lui libero e anticonformista) il segno pittorico si tramuta in situazione-limite di coscienza, immaginazione, situazione metafisica. Non per nulla il “Grande Metafisico”, Giorgio de Chirico, immenso nume tutelare dell’arte italiana, non esitò a redigere, nel nel 1964, cosa più unica che rara, il saggio di presentazione a una monografia dedicata a Stradone, scritta con grande acume critico e sensibilità, con grande umiltà ed onestà intellettuale. Qui poneva l’accento su quel mistero in virtù del quale, nell’arte di Stradone, “tutto è espresso e tutto nello stesso tempo sembra ancora da esprimere”, come in una sorta di entomologica crisalide. […]
Da Giovanni Stradone, mistero e metamorfosi della pittura, testo in catalogo di Silvia Pegoraro