Sin da questi lavori è evidente, nel percorso di Chiggio, una gradazione che va dal semplice al complicato al complesso, come se si volesse attingere alla profondità della natura facendola salire in superficie. Pur trattandosi di lavori che spesso partono da unità modulari, è evidente che l’artista cerca di dar vita a un insieme – una macro-forma – che sia qualcosa di più della semplice somma delle parti (come già aveva indicato la Gestalt Theorie), dimostrando di avere ben chiaro anche un cardine teorico della teoria della complessità. Con i suoi reticoli labirintici – che vediamo in certi Dispositivi Optical, o Diffrazioni, o Connettivi incrociati – Chiggio dà spazio anche a una concezione “rizomatica” dell’esperienza esistenziale e artistica, si appropria di una rete libera e infinita di dati visivi, “smontabile e collegabile a ingressi e a uscite multiple” .
I lavori di Chiggio nascono così da una intensa dinamica di movimenti, da una chinesiologia, in cui si alternano linee, piani, direzioni, punti di vista diversi: lo spazio reale si rovescia in spazio virtuale, e viceversa. La sua arte sembra aderire a quella forma fluens che descrive i rapporti dell’arte col movimento, dunque col tempo, dalle origini ai giorni nostri .
All’idea di tempo e movimento si associano naturalmente quelle di ritmo, di ripetizione e di variazione, che sono anche di natura musicale, e non solo metaforicamente.
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dal testo in catalogo di Silvia Pegoraro
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