Franco Angeli iniziò la sua carriera artistica alla fine degli anni ’50, immerso nelle vibranti correnti dell’Espressionismo Informale. Questa fase iniziale vide Angeli abbracciare una pratica pittorica caratterizzata da materiali ricchi e gesti forti, manifestando un’espressività che esplodeva dalle sue tele. L’intensità materica e la dinamica gestuale di questo periodo riflettevano una libertà creativa incontrollata e un’esuberanza viscerale. Tuttavia, in contrasto con l’apparenza caotica delle opere di quegli anni, Angeli iniziò presto a esplorare un’altra dimensione della pittura.
Il passaggio al monocromo
Nel giro di pochi anni, l’artista abbandonò gradualmente la vivacità del linguaggio dell’Informale per avvicinarsi al monocromo. Questo passaggio segnò una radicale trasformazione nel suo approccio pittorico; le tele, una volta animate dall’energia gestuale, cominciarono a presentare superfici quasi silenziose. Adottando una tecnica che favoriva ampie campiture di colore uniforme, Angeli creò opere che emanavano una tranquillità quasi meditativa. Queste superfici monocrome non erano però completamente passive; leggere vibrazioni luminose e sottili segni emergevano delicatamente, conferendo profondità e mistero alle composizioni.
Il velamento del soggetto
L’orientamento verso il monocromo fu accompagnato da un fenomeno di velamento del soggetto. Questa scelta stilistica e tematica contribuì a un senso di enigmatica introspezione. Le superfici quasi neutre delle tele di Angeli divennero schermi su cui leggere la sottile presenza di qualcosa di nascosto. Il velamento, sia stilistico che concettuale, divenne centrale nelle sue opere durante il primo metà degli anni ’60, rappresentando un sofisticato gioco tra visibile e invisibile. Questo periodo segna una delle tappe più intriganti nella carriera dell’artista, un’evoluzione che sottolinea la sua capacità di trasformare e ri-definire la propria espressione artistica.
La velatura come nodo stilistico e il contrasto con la cultura Pop Art
Negli anni ’60, Franco Angeli sviluppò e perfezionò una tecnica distintiva: la velatura dei dipinti con garze e tessuti translucidi. Questo approccio stilistico si contrapponeva nettamente ai metodi utilizzati dalla Pop Art, caratterizzata dall’uso di materiali come il cellophane per impacchettare gli oggetti, creando una barriera trasparente tra l’opera e lo spettatore. Mentre la Pop Art puntava su un’estetica immediata, appariscente e facilmente fruibile, Angeli perseguiva un’esplorazione più intima e riflessiva.
La velatura di Franco Angeli non solo donava alle sue opere un’aura di mistero e profondità, ma implicava anche un processo di ricerca artistica più profondo. Velando le sue opere, Angeli sembrava voler suggerire che sotto la superficie c’era molto di più da scoprire. Questa tecnica evocava sensazioni di introspezione e meditazione, spingendo l’osservatore a oltrepassare l’apparenza visibile per cogliere il significato nascosto ed evocativo dell’arte.
Contrariamente alla Pop Art, che celebrava la cultura visiva di massa attraverso un’estetica immediata e riconoscibile, Angeli si impegnava a dare forma all’informe e a restituire alla pittura una dimensione figurale. Questa aspirazione si ispirava alle idee della “metafisica dentro la fisica” di Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, mirate a esplorare l’esistenza di significati più profondi dietro alla realtà fisica delle cose. Il lavoro di Angeli negli anni ’70 e ’80 evidenziava un crescente interesse per gli oggetti e i frammenti urbani, che trattava con una plasticità di gusto europeo e italiano, riaffermando il valore dell’arte come spazio di riflessione e di scoperta interiore.
In definitiva, la velatura come nodo stilistico di Franco Angeli non solo rappresentava una sua firma artistica, ma segnava anche una chiara demarcazione dal movimento Pop Art. La sua ricerca estetica e metafisica contribuì a rendere il suo lavoro particolarmente significativo nel panorama artistico del XX secolo, valorizzando il percorso dell’arte come una profonda esplorazione di significati oltre la superficie tangibile.
L’iconosfera urbana e la partecipazione alla Biennale di Venezia
Franco Angeli, noto per la sua capacità di reinterpretare simboli di forte valenza storica e sociale, ha raggiunto una tappa significativa della sua carriera con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1978, nella sezione intitolata ‘Iconosfera Urbana’. In questo periodo, le sue opere pittoriche erano fortemente influenzate dall’iconografia urbana, elemento centrale che permeava e caratterizzava il suo stile artistico. Icone quali svastiche, falci e martelli, simboli della lupa capitolina assieme ad altri emblemi di cultura popolare e autorità, trovavano spazio nelle sue tele e si presentavano con una potenza visiva sorprendente.
Angeli impiegava tinte decise e forme contrastanti, attraverso le quali riusciva a dare vita a composizioni di forte impatto estetico e visivo. Il legame con l’iconosfera urbana non era puramente formale: esso rappresentava al contempo una profonda riflessione sulla condizione sociale e politica del suo tempo. Utilizzando questi simboli, riusciva a contestualizzare la sua arte in una dimensione civile e politica, cercando di rompere le barriere esclusive dell’élite artistica e coinvolgere un pubblico molto più vasto, rendendo la sua opera una forma di testimonianza sociale, soprattutto negli anni a cavallo fra gli anni ’60 e ’70.
La rilettura di tali simboli come temi centrali delle sue opere pittoriche permetteva ad Angeli di svolgere una critica mirata e consapevole nei confronti delle strutture di potere e dei fenomeni politici dell’epoca. La sua arte non era solo esteticamente avvincente, ma era un veicolo per un messaggio di cambiamento sociale, un invito alla riflessione critica e alla consapevolezza civica del pubblico. Questa prospettiva trasformava le sue tele in potenti strumenti narrativi e politici, in grado di evocare una risposta emozionale forte e di stimolare il discorso pubblico.
La poesia dell’Arte di Angeli e la connessione con la tradizione romana
Anche nel cuore della modernità e della cultura di massa, il lavoro di Franco Angeli ha sempre mantenuto una connessione profonda con la tradizione e la storia di Roma. La sua interpretazione della ‘Pop Art’ italiana si distingueva per la capacità di fondere la severità araldica delle icone con una ricca materialità pittorica, che aggiungeva spessore e profondità alle sue opere. Le immagini utilizzate da Angeli, sebbene logorate dall’uso e dalla ripetizione, venivano rinnovate e revitalizzate attraverso la sua impronta autentica e personale, conferendo un’intensità che recuperava l’istintività e il carattere della scrittura autografa.
La poesia, inoltre, occupava un ruolo cruciale all’interno del suo percorso artistico. Franco Angeli era fortemente attratto dalla parola e dalla scrittura poetica. Questo legame si riflette nella sua vicinanza a poeti come Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Sandro Penna e Cesare Vivaldi, le cui parole erano spesso presenti nei cataloghi delle sue mostre. La sua pittura, quindi, non si limitava a essere un campo di battaglia politico e sociale, ma si configurava anche come una profonda espressione poetica e personale.
Le immagini ripetitive, le icone araldiche e gli elementi della tradizione romana venivano trasfigurati attraverso la sensibilità artistica di Angeli, risultando in opere cariche di significati poetici e emotivi. La sua abilità nel connettere il passato con il presente attraverso un linguaggio visivo e poetico ha fatto sì che le sue opere risuonassero con una forza emotiva particolare. Questa fusione di elementi storici e contemporanei ha permesso alla sua ‘Pop Art’ di distinguersi nel panorama artistico italiano, rendendola unica e profondamente riconoscibile.