[…] quando si pensa all’arte occidentale del XX secolo, generalmente si pensa ai vari “astrattismi” delle avanguardie, mentre permane vitale per tutto il secolo un filone “figurativo” legato alla tradizione classico-accademica, o a quella naturalista o impressionista ottocentesca, o, ancora, a quella espressionista.
La “figura” è l’immagine, e l’immagine è immagine: che non è affatto un’affermazione tautologica: l’immagine non può sostituire il reale, ma non è neppure quel surrogato su cui si sono accanite schiere di pensatori più o meno grandi, da Platone a Baudrillard. Se Platone condanna il pittore che dipinge il simulacro di qualcosa che è già una riduzione simulacrale dell’idea primigenia partorita dalla mente divina, è pur vero che l’immagine dipinta non pretende di essere la “cosa” e neppure l’”idea della cosa”. Essa è, appunto, immagine e figura. Cioè qualcos’altro rispetto alla realtà da cui ha preso spunto ma che, in certo modo, rappresenta. La rappresentazione, in effetti, è il trait-d’union tra immagine, idea e cosa, nonché uno dei nodi concettuali più problematici della storia della cultura. […]
Dal saggio in catalogo Figura e figure. Realtà, idea, immagine nella pittura italiana del Novecento, di Silvia Pegoraro
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